IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio in fuzione di organo designato ai sensi degli artt. 309, 310 e 324 del c.p.p. ha emesso la seguente ordinanza sull'impugnazione presentata dal p.m. nei confronti dell'ordinanza in data 13 settembre 1993 g.i.p. di Torino n. 6752/93 r.g. g.i.p. reiettiva dell'istanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Morabito Antonio; rilevata la ritualita' e la tempestivita' dell'impugnazione; sentito il Morabito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 (p.m. e difensore avvisati non comparsi); O S S E R V A In data 12 settembre 1993 il p.m. richiedeva applicarsi in via esclusiva la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Morabito Antonio, indagato in ordine ai reati di cui agli artt. 628, 582, 585, e 337 del c.p. In esito all'udienza di convalida (nella quale il p.m. ribadiva la suddetta richiesta) il g.i.p. a seguito degli accertamenti svolti presso la Casa circondariale di Torino, rigettava, con l'ordinanza di cui in epigrafe, la richiesta di applicazione della misura, trattandosi di persona affetta da A.I.D.S. conclamata ed essendo pertanto operativo il divieto di custodia in carcere ex art. 286- bis del c.p.p. Avverso tale ordinanza il p.m. proponeva impugnazione ex art. 310 del c.p.p. sollevando eccezione di legittimita' costituzionale del suddetto art. 286- bis del c.p.p. per violazione degli artt. 2, 3, 111 e 101 della Costituzione. La questione e' da considerarsi rilevante, avendo il p.m. nel caso di specie richiesto in via esclusiva l'applicazione della misura cautelare piu' gravosa ravvisando il concreto ed elevato pericolo che il Morabito (pluripregiudicato per reati della stessa specie, tossicodipendente e privo di una qualsivoglia attivita' lavorativa), qualora posta in liberta' o in stato di custodia attenuata, reiterasse analoghe condotte criminose, ed avendo omesso il g.i.p. - applicando la norma in questione e disponendo la liberazione dell'indagato - ogni valutazione circa la sussistenza e il grado delle esigenze cautelari in concreto esistenti. Essendo dunque il tribunale investito della decisione circa l'applicabilita' e la scelta della misura cautelare, il giudizio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 286- bis del c.p.p. risulta dunque pregiudiziale per una corretta valutazione in tal senso. Riguardo alla fondatezza della questione, ritiene il tribunale di non condividere quanto sostentuto nell'atto di impugnazione con riferimento al contrasto della norma in parola con gli artt. 2, 111 e 101 della Costituzione. Assume il p.m. appellante, quanto alla asserita violazione dell'art. 2 della Costituzione che l'art. 286- bis del c.p.p. smentirebbe l'assunto di una generalizzata garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo - tra i quali vi e' quello di ricevere tutela nei confronti di chi aggredisca i propri interessi - facendo venir meno detta tutela a chi abbia subito aggressione degli interessi ad opera di soggetti affetti da A.I.D.S. conclamata o da grave deficienza immunitaria. Rileva il tribunale, da un lato, che l'art. 286- bis del c.p.p. non prevede il divieto assoluto di applicabilita' delle misure cautelari nei confronti dei soggetti affetti da A.I.D.S conclamata, cossiche' le esigenze di tutela in questione potrebbero comunque essere soddisfatte, con riferimento a detti soggetti, con l'adozione di una misura cautelare diversa dalla custodia in carcere, quale quella (detentiva) degli arresti domiciliari. Va osservato, d'altro lato, che i diritti di tutela cui si fa cenno appaiono legittimamente comprimibili in presenza di un altro diritto fondamentale dell'individuo, costituzionalmente garantito, quale quello alla salute di cui all'art. 32 della Costituzione, diritto - che in un giudizio di bilanciamento - appare nel caso di specie prevalente rispetto a quello asseritamente leso dalla norma in parola. Quanto poi al ritenuto contrasto dell'art. 286- bis con gli art. 111 e 101 della Costituzione, si rileva in primo luogo che lo stato di incompatibilita' con la detenzione derivante dalla patologia - nei termini indicati dalla norma - e' stabilito ex lege analogamente a quanto si verifica per altre particolari situazioni - quali quella della donna incinta o che ha partorito da meno di sei mesi disciplinata dall'art. 146 del c.p., ovvero quella della persona incinta o che allatta disciplinata dall'art. 275/4 del c.p.p. - in relazione alle quali e' stato ritenuto prevalente il diritto della donna alla salute sua e del nascituro, o del neonato, rispetto alla necessita' di sottoporre la persona allo stato di detenzione. In tutte le ipotesi sopra indicate - riguardo in particolare alla asserita violazione dell'art. 111 della Costituzione - l'obbligo di motivazione appare comunque assolto, considerato che il provvedimento che esenta la persona dalla custodia in carcere viene adottato dal giudice dopo aver espletato gli accertamenti del caso e verificato la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, di cui viene dato conto nel provvedimento stesso. La questione sollevata deve invece ritenersi non manifestamente infondata sotto il profilo della violazione dell'art. 3 della Costituzione. Come esattamente rilevato dal p.m. appellante, non sono ravvisabili ragioni - di carattere logico o scientifico, o di altra natura - per riservare ai soggetti affetti da A.I.D.S. conclamata o da grave deficienza immunitaria un trattamento diverso da quello previsto per le persone affette da malattie altrettanto gravi, irreversibili e ingravescenti per le quali ultime (ai sensi dell'art. 275/4 del c.p.p.) l'esenzione dalla custodia in carcere non deriva da una statuizione di carattere generale collegata al tipo di patologia, bensi' da un accertamento da operarsi caso per caso sulla compatibilita' delle condizioni di salute con la detenzione carceraria, e sempre che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Non vi e' dubbio che nei confronti di soggetti affetti da A.I.D.S. conclamata o da grave deficienza immunitaria sia formulabile una prognosi infausta quoad vitam: cio' che rileva, tuttavia, se si ha riguardo al disposto del citato art. 275/4 del c.p.p. e alla ratio della norma, non e' la mortalita' o meno della malattia, bensi' la gravita' delle condizioni di salute di chi da un grave patologia e' affetto, gravita' che impedisce l'applicazione, o il mantenimento, della custodia in carcere. Premesso che la valutazione (di tipo statistico) a cui viene ancorato il discrimine tra le fasi della malattia che comportano incompatibilita' ope legis e quelle che richiedono invece un esame caso per caso riguarda il numero dei linfociti T 4, non pare potersi sostenere che le condizioni di salute dei soggetti colpiti da grave deficienza immunitaria o da A.I.D.S. conclamata siano piu' gravi di quelle registrabili in stadi diversi della malattia, ovvero di quelle delle persone affette da altre patologie, nel senso che comportino sempre e comunque l'assoluta incompatibilita' con il regime carcerario. Se dunque come rilevato dall'appellante, "una polmonite interstiziale da cytomegalovirus, o una lesione neurologica da toxoplasma gondii, o una encefalite da cytomegalovirus, a parita' di numero di linfociti T 4, sono ben piu' gravi di una esofagite da candida albicans", allo stesso modo par e arbitrario stabilire aprioristicamente che le condizioni di salute di chi sia colpito da tale ultima patologia siano piu' gravi di chi sia affetto da metastasi neoplastiche, da patologie degenerative cardiache, da gravi angiopatie diabetiche. Non appare in conseguenza individuabile - nei confronti dei soggetti indicati dall'art. 286- bis del c.p.p. - una situazione di eccezionalita' che giustifichi la disparita' di trattamento rispetto ai soggetti colpiti da infezione da H.I.V. in stadi (convezionalmente definiti) diversi, ovvero rispetto a quelli affetti da altre patologie. Tale situazione di eccezionalita' non puo' essere, tra l'altro, ricollegata alla infettivita' della malattia (il che verrebbe a incidere sull'interesse collettivo, garantito a livello costituzionale, alla salute), posto che tale caratteristica si riscontra anche in stadi diversi della malattia, ovvero in altre patologie. Da cio' deriva, per esemplificare, che per un soggetto affetto da una grave forma di nefropatia - che notoriamente comporta la necessita' di cure costanti e difficilmente praticabili in stato di detenzione - si imporra', qualora sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, la custodia in carcere, mentre per un soggetto affetto da candidosi esofagea (come nel caso del Morabito) operera' il divieto di cui all'art. 286- bis del c.p.p. Pare allora potersi individuare, con riferimento ai soggetti indicati dalla norma in questione, ai quali non puo' applicarsi la custodia in carcere in virtu' di una situazione (valutata in base a criteri statistici) che non presenta per - le ragioni esposte - caratteri di eccezionalita', una disparita' di trattamento rispetto a soggetti affetti dalla stessa patologia in stadi diversi e da quelli affetti da diverse - e altrettanto gravi sotto il profilo della incompatibilita' con il regime carcerario - patologie, nei confronti dei quali deve invece essere operata una valutazione discrezionale caso per caso, oltretutto superabile dalla sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. La rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione nei termini sopra indicati impone ex lege l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, e la conseguente sospensione del giudizio in corso.